Il vero amore è per sempre.

Forse non tutti sanno che le Catacombe di San Gaudioso custodiscono un amore lontano.

L’affresco degli innamorati è nascosto nel ventre della città dal 1600 ed ogni giorno ci ricorda la bellezza e la potenza del sentimento più longevo di tutti.

Buon San Valentino e buona festa degli innamorati ❤

Il napoletano: la lingua dell’amore che non sa dire Ti amo.

Una delle massime espressioni della cultura napoletana è certamente la canzone. La canzone napoletana ha nelle sue prerogative principali il lirismo, ossia l’espressione del sentimento amoroso. Eppure c’è un aspetto che spesso ci sfugge a cui non facciamo spesso caso, nella canzone classica napoletana nessuno dice “Ti Amo”.

Provate a pensarci, da Reginella a Te voglio bene assaje, da Caruso a Voce e’ notte, da Torna a Surriento a ‘O Surdat Nnammurato, nessuna contiene le parole “Ti Amo”.

Ma come, la canzone più romantica del mondo, quella degli amori forti, sofferti ed intensi non sa dire Ti Amo? E allora? Gli innamorati napoletani non possono esprimere i proprio sentimenti?

Un motivo c’è, in napoletano diciamo Te voglio bbene, che per noi è la stessa identica cosa.

Ciò non significa che volere bene ad un figlio, ad un amico, ad un gatto o alla propria compagna sono la stessa cosa. La parola è la stessa, ma è il sentimento cambia. L’amore, anzi l’ammore, che provo per un fratello non è meno intenso rispetto a quello che provo per una donna, è semplicemente diverso. Sono due cose impossibili da paragonare. Ti Voglio bene è una espressione di un altruismo straordinario, incarna, il vero senso dell’amare: la generosità. Ti voglio bene significa, voglio il tuo bene. Non riguarda me, ma te. Non importa come sto io, l’importante è che tu stia bene. In questo il napoletano è in buona compagnia, quasi tutte le lingue più parlate al mondo hanno una sola espressione per dire indistintamente ti amo e ti voglio bene. Due esempi su tutti il verbo inglese To Love, e lo spagnolo Querer.

Ma se la persona con cui abbiamo una relazione affettiva non riuscisse a cogliere il senso del nostro volerle bene? Anche per tali dubbi il napoletano ha la sua formula. Il verbo amare esiste nella nostra lingua, ma viene usato quasi sempre in forma riflessiva: Me song annammurato e te. Questa espressione rispetto al ti voglio bene, riguarda noi, il nostro intimo, innamorarsi, è una cosa che avviene dentro di noi. A nulla o a poco conta ciò che provano gli altri, ci si innamora e basta.

Per spiegare meglio questo concetto vi lasciamo ad una canzone napoletana, tra le più belle in assoluto, che se leggiamo attentamente, contiene entrambe le espressioni: Dicitencello vuje.

Dicitencello a ‘sta cumpagna vosta
ch’aggio perduto ‘o suonno e ‘a fantasia…
ch”a penzo sempe,
ch’è tutt”a vita mia…
I’ nce ‘o vvulesse dicere,
ma nun ce ‘o ssaccio dí…

Rit. ’A voglio bene…
‘A voglio bene assaje!
Dicitencello vuje
ca nun mm”a scordo maje.
E’ na passione,
cchiù forte ‘e na catena,
ca mme turmenta ll’anema…
e nun mme fa campá!…

Dicitencello ch’è na rosa ‘e maggio,
ch’è assaje cchiù bella ‘e na jurnata ‘e sole…
Da ‘a vocca soja,
cchiù fresca d”e vviole,
i’ giá vulesse sèntere
ch’è ‘nnammurata ‘e me!

Rit. ’A voglio bene…
‘A voglio bene assaje!
Dicitencello vuje
ca nun mm”a scordo maje.
E’ na passione,
cchiù forte ‘e na catena,
ca mme turmenta ll’anema…
e nun mme fa campá!…

Na lácrema lucente v’è caduta…
dicíteme nu poco: a che penzate?!
Cu st’uocchie doce,
vuje sola mme guardate…
Levámmoce ‘sta maschera,
dicimmo ‘a veritá…

Te voglio bene…
Te voglio bene assaje…
Si’ tu chesta catena
ca nun se spezza maje!
Suonno gentile,
suspiro mio carnale…
Te cerco comm’a ll’aria:
Te voglio pe’ campá!…

L’Isola di Procida

Lontanissima dalla mondanità di Capri e Ischia, profumata di limoni e spazzata dai venti, Procida sfugge ai radar del turismo di massa (agosto a parte) e conserva un’atmosfera rarefatta, autentica, quasi malinconica. È piccolissima (4 km² di terra), con un groviglio di case dai toni pastello, rosa, gialle, verde e azzurre, i suoi porticcioli con le barchette e le reti da pesca ammassate sui moli. Per le strade e nelle piazzette si respira appieno l’anima local, con i pescatori dai volti segnati dal sole che riposano all’ombra di qualche ombrellone, i ragazzini che si rincorrono tra i vicoli, i piccoli alberghi e i ristoranti che difficilmente deludono.

“Ma no, anche l’estate, invece, sarebbe tornata immancabilmente, uguale al solito. Non la si può uccidere, essa è un drago invulnerabile che sempre rinasce, con la sua fanciullezza meravigliosa. Ed era un’orrida gelosia che mi amareggiava, questa: di pensare all’isola di nuovo infuocata dall’estate, senza di me!”
(Elsa Morante, L’isola di Arturo)

Niente di meglio che esplorare questa isoletta con tutta calma. Partite da Marina Grande, dove i marinai vendono il pesce freschissimo direttamente dalle loro barche. Insinuatevi nei vicoli in salita fino a Terra Murata, il punto più alto dell’isola, con un paesaggio magnifico sul golfo, la chiesa di San Michele Arcangelo e il palazzo d’Avalosex carcere borbonico dismesso nel 1988 e oggi visitabile. Marina della Corricella è il piccolo borgo di pescatori teatro de Il Postino, ultimo capolavoro di Massimo Troisi (l’attore, oltre a interpretare il postino di Pablo Neruda, ne ha curato la regia insieme a Michael Radford, ricevendo cinque nomination agli Oscar 1996 – tra cui quella per miglior film – e conquistando una statuetta per la migliore colonna sonora drammatica). Andare alla ricerca delle scenografie della pellicola è uno degli sport preferiti dai turisti (soprattutto partenopei, che esaltano Troisi, a ragion veduta, tanto quanto Maradona). Il paese digrada con le sue casette colorate da piazza dei Martiri fino al porticciolo. Più a sud, la splendida spiaggia di Chiaia, insenatura semicircolare di sabbia fine. All’estremità ovest dell’isola c’è l’informale Marina di Chiaiolella, con i ristoranti vecchio stile e un porto su cui ormeggiano barche da diporto e i taxi d’acqua colorati che raggiungono spiagge bellissime. C’è ancora un’isola da visitare: Vivara, mezzaluna tutta verde, disabitata, collegata a Procida da un ponte pedonale. Miracolosamente immune alla cementificazione, è stata riconosciuta Riserva naturale statale.

L’Isola di Ischia

Anche Ischia, la più grande delle isole Flegree, ha conosciuto i fasti degli anni ’50: il regista Luchino Visconti provava un amore tanto profondo per l’isola da acquistare villa La Colombaia, ora purtroppo off limits; ma fu Angelo Rizzoli, editore e produttore cinematografico, con la realizzazione dell’albergo termale della Regina Isabella, ad attirare a Ischia un mucchio di celebrità, parliamo di nomi come Liz Taylor, Richard Burton, Maria Callas e William Holden. Oggi, se Capri è avvolta stretta stretta nel suo mantello aristocratico, Ischia se l’è fatto scivolare di dosso, pur rimanendo elegante, evergreen, salutare e ricercata. È un mosaico di ambienti tutti diversi: le scogliere a picco sul mare colore indaco, le spiagge appartate, la natura ancora incontaminata, con le matasse di buganvillee e il verde brillante della vegetazione tipica del Mediterraneo, le pittoresche cittadine. Sull’isolotto prospiciente Ischia Ponte, si erge con orgoglio il Castello aragonese: vecchio di 25 secoli, cela dietro le sue mura chiese, prigioni e giardini ed è la location dell’Ischia Film Festival di giugno. C’è Forio, il paese più ampio dell’isola, con i vicoli animati da botteghe artigiane e ristoranti, e gli imperdibili giardini La Mortella, incantevole e ricchissimo scrigno botanico nato dalla passione di Susana Gil (alias Lady Walton, moglie del compositore William Walton). E poi non potete perdere Sant’Angelo, il borgo chic di Ischia. Si trova all’estremità sud dell’isola ed è solo dopo una lunga e tortuosa discesa che vi si parerà davanti con tutto il suo fascino. Le case color pastello, il piccolo porto turistico, la piazzetta con le raffinate boutique e i ristoranti di livello la fanno assomigliare a Capri. Voi, però, spingetevi fino alla Madonnella, la zona più alta di Sant’Angelo, e da qui scendete fino alla spiaggia dei Maronti, una delle più belle dell’isola, chiusa al limite dalle fumarole (fenomeno di vulcanesimo che fa nascere nel mare bolle di gas a 100 °C e sprigiona dalla sabbia getti di vapore), che insieme alla baia di Sorgeto (a Panza, vicino a Forio) con le sue piscine termali naturali, sono le terme free di Ischia. Sì, lo zoccolo duro del turismo ischitano rimane il termalismo. Ci sono centri termali che hanno fatto la storia e che sono ancora sulla cresta dell’onda, grazie all’ambiente naturale in cui sono stati inseriti, sempre rigoglioso e curatissimo, e grazie, ovviamente, alle proprietà curative e benefiche delle acque: a Forio ci sono i Giardini Poseidon, con 20 piscine termali, a Lacco Ameno, nella baia di San Montano, c’è il Parco Termale di Negombo, a Barano d’Ischia il Parco Fonte delle Ninfe Nitrodi. E infine ci sono le passeggiate, più o meno impegnative, che contornano l’isola e regalano panorami magnifici. La più bella è quella che sale sulla cima del Monte Epomeo, la vetta più alta di Ischia. Il percorso si snoda su una strada panoramica ricca di vigneti, con vedute meravigliose sul Golfo di Napoli e sui vicini Campi Flegrei. Durante il tragitto fate sosta alla chiesa di San Nicola e all’eremo, scavati nel tufo.

L’Isola di Capri

La vellutata eleganza e l’appeal glamour di Capri sono un invito, nemmeno troppo velato, all’edonismo. Difficile non cedere alle lusinghe di un’isola così bella. E comunque i più scettici potrebbero venire ammaliati dal canto delle sirene. Un microcosmo in cui mare, vegetazione, arte e cultura sono in perfetto equilibrio. I dirupi, gli scorci magnifici da scoprire lungo i sentieri, un suolo fertile e vivace, con il verde della macchia, i colori caldi degli agrumeti, i banchi di brillanti buganvillee e poi le ville romane, tracce del passaggio di Ottaviano e del sadico Tiberio, che fece costruire dodici ville e scelse l’incantevole Villa Jovis come residenza. Ma Capri svolta nell’800, con la scoperta della scintillante Grotta Azzurra, un’antica cavità carsica che cela un ambiente spettacolare, quasi surreale, dove la luce che filtra colora tutto d’argento. La voce si sparge e l’isola diventa il faro di artisti, musicisti, scrittori, esteti come John Singer Sargent, Debussy, Thomas Mann, per dire. Più avanti, negli anni Cinquanta e Sessanta, mentre l’Italia intera si leccava ancora le ferite della seconda guerra mondiale, i primi sibariti iniziano ad affollare Capri e a dedicarsi a una vita fatta di lusso, ozio e piaceri, quel lifestyle che in Italia si chiama “dolce vita”. Il glitterato jet-set internazionale sbarca sull’isola: dive del cinema, armatori con mogli al seguito, star di Hollywood. Archivi su archivi di foto d’epoca immortalano Jacky Onassis, Brigitte Bardot, Rita Hayworth con il principe Ali Khan, Ingrid Bergman, Maria Callas e Pablo Neruda. In quel periodo l’economia locale fa passi da gigante: nascono alberghi, ristoranti, locali. E insieme cresce la creatività dei sarti dell’isola, come il maestro Emilio Pucci, e la moda caprese, con i pantaloni a metà polpaccio, i sandali e i gioielli, fa tendenza in tutto il mondo. Da allora, l’isola è avvolta da un fascino che non conosce tramonti.

“Una delle foto più belle e pubblicate di Jackie è quella di lei, a piedi scalzi, per le vie di Capri con una t-shirt e un paio di pantaloni bianchi. Nella sua assoluta semplicità, la quintessenza dell’eleganza.”
(Franca Sozzani)

Ma andiamo con ordine. Principale approdo dell’isola è Marina Grande, da cui partono le escursioni in barca che fanno il giro dell’isola o dirette alla Grotta Azzurra. Capri invece è la località più importante, pittoresca, con le case bianche in tufo coperte da terrazze fiorite, le barche e i mega yacht ancorati al porticciolo, i vicoli stretti stracolmi di boutique, locali e ristoranti esclusivi che hanno soppiantato le attività locali. Ma il fulcro della vita felice è l’iconica piazzetta, salotto buono nel cuore del villaggio, con la chiesa di Santo Stefano, il municipio e tanti eleganti caffè con i tavolini su strada su cui accomodarsi all’ora dell’aperitivo, quando la piazza si trasforma in passerella: è come assistere a una sfilata d’alta moda, con gente in abiti da sera, dal portamento impeccabile. Defilarsi dalla folla comunque è facile: prendendo via Vittorio Emanuele e poi via Camerelle (quella dei negozi griffati), si entra in via Tragara, una tranquilla passeggiata che conduce al belvedere omonimo. Da qui, andando verso est, si snoda un percorso piuttosto impegnativo, su salite e gradinate, che porta alla modernista Villa Malaparte e all’Arco naturale. Oppure, dalla piazzetta, seguendo sempre via Vittorio Emanuele, via Serena e poi via Matteotti, si raggiungono i giardini di Augusto, nei pressi della certosa di San Giacomo, stracolmi di fiori e terrazze dove fermarsi ad ammirare il panorama sui Faraglioni, i tre pinnacoli di roccia che si ergono imponenti nel mare a guardia dell’isola. Da qui, si può scendere sulla sinuosa via Krupp fino a Marina Piccola, piccolo angolo di pace, con una bella baia riparata dal vento. La parte ovest dell’isola è occupata dal promontorio di Anacapri, controparte sobria della sontuosa Capri, ma lo stesso molto frequentata, è un luogo in cui passeggiare con calma tra le strade colorate di gerani. E quando volete tornare a fare i vip, vi basta percorrere gli 881 gradini della Scala Fenicia che conducono direttamente a Capri.

“A Capri incroci un sacco di gente che magari non è famosa, ma lo sembra.”
(Diego De Silva)

Isole del Golfo di Napoli: cosa vedere a Ischia, Capri, Procida.

Grotte, baie, insenature, scorci mozzafiato, buon cibo e un clima meraviglioso. Da Napoli o da Sorrento, da Amalfi o Positano, chi guarda l’orizzonte può scorgere in lontananza un triangolo scaleno di sagome rocciose che emergono dal mare. È il primo incontro con le gemme del Golfo di Napoli: Capri, la mondana, Ischia, l’isola del benessere, e Procida, la conservatrice.

CapriIschia e Procida si lasciano alle spalle l’istrionica Napoli, con i suoi trambusti e le sue contraddizioni, crogiolandosi nella loro sconvolgente bellezza. Sparpagliate su un mare di un blu saturo, hanno stretto un patto eterno con il sole e il clima mite, linfa vitale per la natura rigogliosa che le adorna tutto l’anno. Eppure le tre isole incantatrici del Golfo di Napoli hanno aspetti e caratteri tutt’altro che omogenei. Capri dalle forme aguzze, elitaria, salotto dell’effimero. Ischia, grande, caleidoscopica e verdissima, dai profili smussati, fa tesoro delle sue acque sulfuree. Infine Procida, piccolissima, semplice, colorata e autentica. Pasti luculliani, spiagge dorate e nere, trattamenti wellness, passeggiate e trekking, romanticissimi tramonti: what else?

“Ah, Napoli non è niente senza le sue isole: Capri, certo, Ischia e anche Procida.”
(Tahar Ben Jelloun)

LE MIGLIORI CITAZIONI SU NAPOLI

Ci piace descrivere Napoli come il caos incarnato. Ha una vita propria, che sembra dirigersi in tutte le direzioni contemporaneamente, ma poi si riunisce in una sorta di armonia intoccabile che dà energia alla tua anima. E poiché ci piacerebbe farti sapere di più sulla città, abbiamo raccolto insieme le nostre citazioni preferite sul Napoli.

All’ombra del Monte. Il Vesuvio, Napoli ha ispirato scrittori e artisti per secoli.

Per riconoscere questa città unica, ecco le migliori citazioni su Napoli:

Roma è maestosa e imponente, Firenze è tutta bellezza e incanto, Genova è pittoresca, Venezia è una città da sogno, ma Napoli è semplicemente – affascinante.
– Lilian Whiting

Napoli è stranamente caotica e, se sono onesto, un po’ fatiscente. Ha certamente un aspetto “vissuto”. È viva, è vibrante, è un po’ sporca, è affollata e l’ho adorata.
– Paul Hollywood

Della posizione della città e delle sue meraviglie tanto spesso descritte e decantate, non farò motto. Come si dice qui, “Vedi Napoli e poi muori!”. Non si può biasimare il napoletano per non voler mai lasciare la sua città, né i suoi poeti che cantano le sue lodi in alte iperboli: sarebbe meraviglioso anche se qualche altro Vesuvio dovesse sorgere nel vicinato. 
– Johann Wolfgang von Goethe

Eccoci finalmente. Il proverbio italiano dice “Vedi Napoli e muori” ma io dico, vedi Napoli e vivi; perché sembra molto che valga la pena vivere. 
– Arthur John Strutt

Napoli è il fiore del paradiso. L’ultima avventura della mia vita.
– Alexandre Dumas

Ho un concetto di Napoli che non è tanto una città in sé, ma piuttosto un ingrediente dello spirito umano che io riconosco in tutti, napoletano o no. L’idea che il “napoletanismo” e l’ignoranza di massa siano in qualche modo legati indissolubilmente è qualcosa che sono pronto a combattere con tutta la forza che ho. Semplicemente, mi rifiuto di credere che le condizioni di vita di una popolazione possano essere migliorate solo a costo di annientare ogni cosa umana nel loro modo di vivere. In effetti, a volte penso addirittura che Napoli possa essere ancora l’ultima speranza che resta alla razza umana.
– Luciano De Crescenzo

Io esisto solo perché dentro di me sono rimasta soprattutto e soltanto napoletana. Napoli esiste dentro di me, e sempre lo farà. Fortunatamente per me c’è questo tesoro che ho dentro di me e, quando ne ho bisogno, poi lo tiro fuori.
– Sophia Loren

…la città di Napoli era così: meravigliosa da lontano, ma vista da vicino era frammentaria, indefinibile e ruvida…
– Franco Di Mare

Chiave di volta di un arco di azzurro, Napoli s’adagia sul mare, | Incoronata da compiacenti nazioni regina d’allegria senza pari: | Ride dell’ira dell’oceano, schernisce la furia del Vesuvio, | Disprezza malattia, e miseria, e fame, quelle che affollano le sue strade assolate. 
– Martin Farquhar Tupper

Chi non ama Napoli, deve ancora imparare come amare la vita.
– Anonimo

Napoli è un paradiso: tutti vivono in una specie di ebbrezza e di oblio di se stessi. A me accade lo stesso. Non mi riconosco quasi più, mi sembra di essere un altro uomo. Ieri mi dicevo: o sei stato folle fin qui, o lo sei adesso.
– Johann Wolfgang von Goethe

Ci sono altre citazioni su Napoli che ami?

17 GENNAIO, LA NOTTE DELLA TRADIZIONE: “‘O FUCARAZZO ‘E SANT’ANTUONO”

Una tradizione secolare che si ripete ogni anno e che vede la costruzione del grandissimo falò conclude i festeggiamenti del Santo con la sua accensione la sera del 17 gennaio, un misto di religiosità, folklore, tradizioni e partecipazione.

L’iconografia di S. Antonio Abate lo raffigura vicino ad un fuoco, bastone col campanello e circondato da animali; tra questi l’immancabile maiale che simboleggia il male, che, sconfitto dal Santo, fu condannato da Dio a seguirlo sotto spoglie suine.

Dal momento che il maiale è sempre con lui la sagacia popolare ha coniato un detto: Sant’Antuono s’annammuraie d’o puorco, volendo indicare la sorta d’attrazione esercitata dal male e dal brutto sul buono e bello.

La tradizione probabilmente invece è nata dal fatto che l’ordine dei Monaci Antoniani allevavano maiali da cui ricavavano il grasso che serviva come unguento per curare le lesioni dell’Herpes zooster, la dolorosa afflizione virale detta ‘o fuoco ‘e Sant’Antuono.

Così ogni anno, il 17 gennaio, si festeggia la ricorrenza del Santo con l’accensione d’o fucarazzo, un’abbondante fiammata di fascine, ramoscelli e roba vecchia. In uno spiazzo si appronta la catasta da bruciare con un’apertura alla base, perché il fuoco viene acceso in basso.

La festa cade all’inizio dell’anno: così quando si dice Sant’Antuono n’ora bbona s’intende che il giorno guadagna un’ora di luce.

Il rituale del fuoco diviene elemento apotropaico ovvero propiziatorio e allontana il male, è il passaggio dall’inverno alla primavera.

Se il falò è stato preparato a regola d’arte ecco che subito si leva ‘a vampata. Purificatrice. Taumaturgica. Fecondatrice. Capace di scacciare il male con la roba vecchia facendo spazio al nuovo. Il mucchio si consuma lentamente trasformandosi in brace, poi in cenere; anticamente se ne raccoglieva un po’ per portarla in casa: preservava dal male.

Tutti coloro che hanno a che fare con il fuoco sono sotto la protezione di Sant’Antonio, che è anche il protettore degli animali domestici, difatti, il 17 gennaio tradizionalmente la Chiesa benedice gli animali e le stalle. In questo giorno viene inoltre celebrata la Giornata Cittadina del Pizzaiolo Napoletano, in onore del Santo Protettore.

La festa del fuoco si celebra in diversi luoghi del Paese, da Nord a Sud; racconta l’identità culturale di territori contadini, di radici che affondano in tempi antichissimi, tanto antichi che esiste il detto; s’arricorda ‘o cippo ‘e Sant’Antuono quando ci si riferisce a qualcosa di estremamente datato.

Un evento unico e carico di simboli che si muovono tra sacro e profano.

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