Anche Ischia, la più grande delle isole Flegree, ha conosciuto i fasti degli anni ’50: il regista Luchino Visconti provava un amore tanto profondo per l’isola da acquistare villa La Colombaia, ora purtroppo off limits; ma fu Angelo Rizzoli, editore e produttore cinematografico, con la realizzazione dell’albergo termale della Regina Isabella, ad attirare a Ischia un mucchio di celebrità, parliamo di nomi come Liz Taylor, Richard Burton, Maria Callas e William Holden. Oggi, se Capri è avvolta stretta stretta nel suo mantello aristocratico, Ischia se l’è fatto scivolare di dosso, pur rimanendo elegante, evergreen, salutare e ricercata. È un mosaico di ambienti tutti diversi: le scogliere a picco sul mare colore indaco, le spiagge appartate, la natura ancora incontaminata, con le matasse di buganvillee e il verde brillante della vegetazione tipica del Mediterraneo, le pittoresche cittadine. Sull’isolotto prospiciente Ischia Ponte, si erge con orgoglio il Castello aragonese: vecchio di 25 secoli, cela dietro le sue mura chiese, prigioni e giardini ed è la location dell’Ischia Film Festival di giugno. C’è Forio, il paese più ampio dell’isola, con i vicoli animati da botteghe artigiane e ristoranti, e gli imperdibili giardini La Mortella, incantevole e ricchissimo scrigno botanico nato dalla passione di Susana Gil (alias Lady Walton, moglie del compositore William Walton). E poi non potete perdere Sant’Angelo, il borgo chic di Ischia. Si trova all’estremità sud dell’isola ed è solo dopo una lunga e tortuosa discesa che vi si parerà davanti con tutto il suo fascino. Le case color pastello, il piccolo porto turistico, la piazzetta con le raffinate boutique e i ristoranti di livello la fanno assomigliare a Capri. Voi, però, spingetevi fino alla Madonnella, la zona più alta di Sant’Angelo, e da qui scendete fino alla spiaggia dei Maronti, una delle più belle dell’isola, chiusa al limite dalle fumarole (fenomeno di vulcanesimo che fa nascere nel mare bolle di gas a 100 °C e sprigiona dalla sabbia getti di vapore), che insieme alla baia di Sorgeto (a Panza, vicino a Forio) con le sue piscine termali naturali, sono le terme free di Ischia. Sì, lo zoccolo duro del turismo ischitano rimane il termalismo. Ci sono centri termali che hanno fatto la storia e che sono ancora sulla cresta dell’onda, grazie all’ambiente naturale in cui sono stati inseriti, sempre rigoglioso e curatissimo, e grazie, ovviamente, alle proprietà curative e benefiche delle acque: a Forio ci sono i Giardini Poseidon, con 20 piscine termali, a Lacco Ameno, nella baia di San Montano, c’è il Parco Termale di Negombo, a Barano d’Ischia il Parco Fonte delle Ninfe Nitrodi. E infine ci sono le passeggiate, più o meno impegnative, che contornano l’isola e regalano panorami magnifici. La più bella è quella che sale sulla cima del Monte Epomeo, la vetta più alta di Ischia. Il percorso si snoda su una strada panoramica ricca di vigneti, con vedute meravigliose sul Golfo di Napoli e sui vicini Campi Flegrei. Durante il tragitto fate sosta alla chiesa di San Nicola e all’eremo, scavati nel tufo.
L’Isola di Capri
La vellutata eleganza e l’appeal glamour di Capri sono un invito, nemmeno troppo velato, all’edonismo. Difficile non cedere alle lusinghe di un’isola così bella. E comunque i più scettici potrebbero venire ammaliati dal canto delle sirene. Un microcosmo in cui mare, vegetazione, arte e cultura sono in perfetto equilibrio. I dirupi, gli scorci magnifici da scoprire lungo i sentieri, un suolo fertile e vivace, con il verde della macchia, i colori caldi degli agrumeti, i banchi di brillanti buganvillee e poi le ville romane, tracce del passaggio di Ottaviano e del sadico Tiberio, che fece costruire dodici ville e scelse l’incantevole Villa Jovis come residenza. Ma Capri svolta nell’800, con la scoperta della scintillante Grotta Azzurra, un’antica cavità carsica che cela un ambiente spettacolare, quasi surreale, dove la luce che filtra colora tutto d’argento. La voce si sparge e l’isola diventa il faro di artisti, musicisti, scrittori, esteti come John Singer Sargent, Debussy, Thomas Mann, per dire. Più avanti, negli anni Cinquanta e Sessanta, mentre l’Italia intera si leccava ancora le ferite della seconda guerra mondiale, i primi sibariti iniziano ad affollare Capri e a dedicarsi a una vita fatta di lusso, ozio e piaceri, quel lifestyle che in Italia si chiama “dolce vita”. Il glitterato jet-set internazionale sbarca sull’isola: dive del cinema, armatori con mogli al seguito, star di Hollywood. Archivi su archivi di foto d’epoca immortalano Jacky Onassis, Brigitte Bardot, Rita Hayworth con il principe Ali Khan, Ingrid Bergman, Maria Callas e Pablo Neruda. In quel periodo l’economia locale fa passi da gigante: nascono alberghi, ristoranti, locali. E insieme cresce la creatività dei sarti dell’isola, come il maestro Emilio Pucci, e la moda caprese, con i pantaloni a metà polpaccio, i sandali e i gioielli, fa tendenza in tutto il mondo. Da allora, l’isola è avvolta da un fascino che non conosce tramonti.
“Una delle foto più belle e pubblicate di Jackie è quella di lei, a piedi scalzi, per le vie di Capri con una t-shirt e un paio di pantaloni bianchi. Nella sua assoluta semplicità, la quintessenza dell’eleganza.”
(Franca Sozzani)
Ma andiamo con ordine. Principale approdo dell’isola è Marina Grande, da cui partono le escursioni in barca che fanno il giro dell’isola o dirette alla Grotta Azzurra. Capri invece è la località più importante, pittoresca, con le case bianche in tufo coperte da terrazze fiorite, le barche e i mega yacht ancorati al porticciolo, i vicoli stretti stracolmi di boutique, locali e ristoranti esclusivi che hanno soppiantato le attività locali. Ma il fulcro della vita felice è l’iconica piazzetta, salotto buono nel cuore del villaggio, con la chiesa di Santo Stefano, il municipio e tanti eleganti caffè con i tavolini su strada su cui accomodarsi all’ora dell’aperitivo, quando la piazza si trasforma in passerella: è come assistere a una sfilata d’alta moda, con gente in abiti da sera, dal portamento impeccabile. Defilarsi dalla folla comunque è facile: prendendo via Vittorio Emanuele e poi via Camerelle (quella dei negozi griffati), si entra in via Tragara, una tranquilla passeggiata che conduce al belvedere omonimo. Da qui, andando verso est, si snoda un percorso piuttosto impegnativo, su salite e gradinate, che porta alla modernista Villa Malaparte e all’Arco naturale. Oppure, dalla piazzetta, seguendo sempre via Vittorio Emanuele, via Serena e poi via Matteotti, si raggiungono i giardini di Augusto, nei pressi della certosa di San Giacomo, stracolmi di fiori e terrazze dove fermarsi ad ammirare il panorama sui Faraglioni, i tre pinnacoli di roccia che si ergono imponenti nel mare a guardia dell’isola. Da qui, si può scendere sulla sinuosa via Krupp fino a Marina Piccola, piccolo angolo di pace, con una bella baia riparata dal vento. La parte ovest dell’isola è occupata dal promontorio di Anacapri, controparte sobria della sontuosa Capri, ma lo stesso molto frequentata, è un luogo in cui passeggiare con calma tra le strade colorate di gerani. E quando volete tornare a fare i vip, vi basta percorrere gli 881 gradini della Scala Fenicia che conducono direttamente a Capri.
“A Capri incroci un sacco di gente che magari non è famosa, ma lo sembra.”
(Diego De Silva)
Isole del Golfo di Napoli: cosa vedere a Ischia, Capri, Procida.
Grotte, baie, insenature, scorci mozzafiato, buon cibo e un clima meraviglioso. Da Napoli o da Sorrento, da Amalfi o Positano, chi guarda l’orizzonte può scorgere in lontananza un triangolo scaleno di sagome rocciose che emergono dal mare. È il primo incontro con le gemme del Golfo di Napoli: Capri, la mondana, Ischia, l’isola del benessere, e Procida, la conservatrice.
Capri, Ischia e Procida si lasciano alle spalle l’istrionica Napoli, con i suoi trambusti e le sue contraddizioni, crogiolandosi nella loro sconvolgente bellezza. Sparpagliate su un mare di un blu saturo, hanno stretto un patto eterno con il sole e il clima mite, linfa vitale per la natura rigogliosa che le adorna tutto l’anno. Eppure le tre isole incantatrici del Golfo di Napoli hanno aspetti e caratteri tutt’altro che omogenei. Capri dalle forme aguzze, elitaria, salotto dell’effimero. Ischia, grande, caleidoscopica e verdissima, dai profili smussati, fa tesoro delle sue acque sulfuree. Infine Procida, piccolissima, semplice, colorata e autentica. Pasti luculliani, spiagge dorate e nere, trattamenti wellness, passeggiate e trekking, romanticissimi tramonti: what else?
“Ah, Napoli non è niente senza le sue isole: Capri, certo, Ischia e anche Procida.”
(Tahar Ben Jelloun)
LE MIGLIORI CITAZIONI SU NAPOLI
Ci piace descrivere Napoli come il caos incarnato. Ha una vita propria, che sembra dirigersi in tutte le direzioni contemporaneamente, ma poi si riunisce in una sorta di armonia intoccabile che dà energia alla tua anima. E poiché ci piacerebbe farti sapere di più sulla città, abbiamo raccolto insieme le nostre citazioni preferite sul Napoli.
All’ombra del Monte. Il Vesuvio, Napoli ha ispirato scrittori e artisti per secoli.
Per riconoscere questa città unica, ecco le migliori citazioni su Napoli:
Roma è maestosa e imponente, Firenze è tutta bellezza e incanto, Genova è pittoresca, Venezia è una città da sogno, ma Napoli è semplicemente – affascinante.
– Lilian Whiting
Napoli è stranamente caotica e, se sono onesto, un po’ fatiscente. Ha certamente un aspetto “vissuto”. È viva, è vibrante, è un po’ sporca, è affollata e l’ho adorata.
– Paul Hollywood
Della posizione della città e delle sue meraviglie tanto spesso descritte e decantate, non farò motto. Come si dice qui, “Vedi Napoli e poi muori!”. Non si può biasimare il napoletano per non voler mai lasciare la sua città, né i suoi poeti che cantano le sue lodi in alte iperboli: sarebbe meraviglioso anche se qualche altro Vesuvio dovesse sorgere nel vicinato.
– Johann Wolfgang von Goethe
Eccoci finalmente. Il proverbio italiano dice “Vedi Napoli e muori” ma io dico, vedi Napoli e vivi; perché sembra molto che valga la pena vivere.
– Arthur John Strutt
Napoli è il fiore del paradiso. L’ultima avventura della mia vita.
– Alexandre Dumas
Ho un concetto di Napoli che non è tanto una città in sé, ma piuttosto un ingrediente dello spirito umano che io riconosco in tutti, napoletano o no. L’idea che il “napoletanismo” e l’ignoranza di massa siano in qualche modo legati indissolubilmente è qualcosa che sono pronto a combattere con tutta la forza che ho. Semplicemente, mi rifiuto di credere che le condizioni di vita di una popolazione possano essere migliorate solo a costo di annientare ogni cosa umana nel loro modo di vivere. In effetti, a volte penso addirittura che Napoli possa essere ancora l’ultima speranza che resta alla razza umana.
– Luciano De Crescenzo
Io esisto solo perché dentro di me sono rimasta soprattutto e soltanto napoletana. Napoli esiste dentro di me, e sempre lo farà. Fortunatamente per me c’è questo tesoro che ho dentro di me e, quando ne ho bisogno, poi lo tiro fuori.
– Sophia Loren
…la città di Napoli era così: meravigliosa da lontano, ma vista da vicino era frammentaria, indefinibile e ruvida…
– Franco Di Mare
Chiave di volta di un arco di azzurro, Napoli s’adagia sul mare, | Incoronata da compiacenti nazioni regina d’allegria senza pari: | Ride dell’ira dell’oceano, schernisce la furia del Vesuvio, | Disprezza malattia, e miseria, e fame, quelle che affollano le sue strade assolate.
– Martin Farquhar Tupper
Chi non ama Napoli, deve ancora imparare come amare la vita.
– Anonimo
Napoli è un paradiso: tutti vivono in una specie di ebbrezza e di oblio di se stessi. A me accade lo stesso. Non mi riconosco quasi più, mi sembra di essere un altro uomo. Ieri mi dicevo: o sei stato folle fin qui, o lo sei adesso.
– Johann Wolfgang von Goethe
Ci sono altre citazioni su Napoli che ami?
17 GENNAIO, LA NOTTE DELLA TRADIZIONE: “‘O FUCARAZZO ‘E SANT’ANTUONO”
Una tradizione secolare che si ripete ogni anno e che vede la costruzione del grandissimo falò conclude i festeggiamenti del Santo con la sua accensione la sera del 17 gennaio, un misto di religiosità, folklore, tradizioni e partecipazione.
L’iconografia di S. Antonio Abate lo raffigura vicino ad un fuoco, bastone col campanello e circondato da animali; tra questi l’immancabile maiale che simboleggia il male, che, sconfitto dal Santo, fu condannato da Dio a seguirlo sotto spoglie suine.
Dal momento che il maiale è sempre con lui la sagacia popolare ha coniato un detto: Sant’Antuono s’annammuraie d’o puorco, volendo indicare la sorta d’attrazione esercitata dal male e dal brutto sul buono e bello.
La tradizione probabilmente invece è nata dal fatto che l’ordine dei Monaci Antoniani allevavano maiali da cui ricavavano il grasso che serviva come unguento per curare le lesioni dell’Herpes zooster, la dolorosa afflizione virale detta ‘o fuoco ‘e Sant’Antuono.
Così ogni anno, il 17 gennaio, si festeggia la ricorrenza del Santo con l’accensione d’o fucarazzo, un’abbondante fiammata di fascine, ramoscelli e roba vecchia. In uno spiazzo si appronta la catasta da bruciare con un’apertura alla base, perché il fuoco viene acceso in basso.
La festa cade all’inizio dell’anno: così quando si dice Sant’Antuono n’ora bbona s’intende che il giorno guadagna un’ora di luce.
Il rituale del fuoco diviene elemento apotropaico ovvero propiziatorio e allontana il male, è il passaggio dall’inverno alla primavera.
Se il falò è stato preparato a regola d’arte ecco che subito si leva ‘a vampata. Purificatrice. Taumaturgica. Fecondatrice. Capace di scacciare il male con la roba vecchia facendo spazio al nuovo. Il mucchio si consuma lentamente trasformandosi in brace, poi in cenere; anticamente se ne raccoglieva un po’ per portarla in casa: preservava dal male.
Tutti coloro che hanno a che fare con il fuoco sono sotto la protezione di Sant’Antonio, che è anche il protettore degli animali domestici, difatti, il 17 gennaio tradizionalmente la Chiesa benedice gli animali e le stalle. In questo giorno viene inoltre celebrata la Giornata Cittadina del Pizzaiolo Napoletano, in onore del Santo Protettore.
La festa del fuoco si celebra in diversi luoghi del Paese, da Nord a Sud; racconta l’identità culturale di territori contadini, di radici che affondano in tempi antichissimi, tanto antichi che esiste il detto; s’arricorda ‘o cippo ‘e Sant’Antuono quando ci si riferisce a qualcosa di estremamente datato.
Un evento unico e carico di simboli che si muovono tra sacro e profano.
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Guest Review Award 2018
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Congratulazioni a noi e grazie a tutti i nostri ospiti!
Robert Mapplethorpe, Coreografia per una mostra
A cura di Laura Valente, Andrea Viliani
15.12.2018 — 08.04.2019
Terzo piano
Al Madre la retrospettiva Robert Mapplethorpe. Coreografia per una mostra / Choreography for an Exhibition, a cura di Laura Valente e Andrea Viliani, dedicata a uno dei più grandi fotografi del XX secolo.
Coreografia per una mostra / Choreography for an Exhibition si concentra in modo inedito sull’intima matrice performativa della pratica fotografica di Mapplethorpe, sviluppata, nel concetto e nella struttura di questa mostra, come un possibile confronto fra l’azione del “fotografare” in studio (nell’implicazione autore / soggetto / spettatore) e del “performare” sulla scena (nell’analoga implicazione performer / coreografo / pubblico).
Questa “coreografia” espositiva si articola in tre sezioni fra loro connesse. All’inizio un’Ouverture, nella sala d’ingresso e nelle due sale attigue, che ridisegnano lo spazio-tempo del museo infondendogli un’ispirazione teatrale, tesa nel gioco di sguardi fra le due “muse” mapplethorpiane, femminile e maschile, Patti Smith e Samuel Wagstaff Jr.
A seguire, nelle cinque sale iniziali e nelle sei sale finali (prima sezione), il pubblico è introdotto direttamente sul palcoscenico di questo “allestimento per immagini” – fra ballerini, atleti, body-builders, modelle e modelli – esplorando la performatività del soggetto fotografato, che Mapplethorpe riprendeva con un’accurata preparazione nel suo studio.
Le due sale che precedono e seguono la sala centrale (seconda sezione) portano il pubblico in una potenziale platea, analizzando il ruolo del visitatore e il suo desiderio ritrovato nello sguardo di decine di ritratti che, nel loro complesso, non solo ci restituiscono uno straordinario diario personale della vita, degli affetti, amicizie, incontri, collaborazioni e commissioni dell’artista, ma al contempo ricostruiscono, fra dimensione privata e sfera pubblica, un affresco collettivo della società newyorkese e del jet-set internazionale fra gli anni Settanta e Ottanta del XX secolo. Tra i volti di questa platea “viva”: John Mc Kendry (1975); Arnold Schwarzenegger, Philip Glass con Robert Wilson e David Hockney con Henry Geldzalher (1976); Deborah Harry (1978); Carolina Herrera (1979); Francesca Thyssen (1981); Louise Bourgeois e il gallerista della Pop Art Leo Castelli (1982); Doris Saatchi, Andy Warhol, Francesco Clemente e Lucio Amelio (1983); Susan Sontag (1984); Norman Mailer (1985), Louise Nevelson (1986), Laurie Anderson (1987); oltre alle immagini di ballerini e coreografi come Lucinda Childs, Gregory Hines, Bill T. Jones, Molissa Fenley e i danzatori dell’NYC Ballet.
La sala centrale (terza sezione) – dominata da un tappeto rosso per danzatori e da una sequenza di autoritratti di Mapplethorpe – si trasforma in un vero e proprio teatro tridimensionale, in cui, congiungendo fra loro tutti i temi della mostra, la performatività diviene coreografia contemporanea e attuale, con al centro lo stesso artista.
Integrano questa sezione, come due spazi di retro-scena, due sale attigue alla sala centrale: l’(Un)Dressing Room, un vero camerino allestito, dove i performer si scaldano prima dell’esibizione, che ospita alcune immagini che ci introducono nella dinamica dello studio dell’artista, e la X(Dark) Room (vietata ai minori), in cui sono esposte le opere più “segrete ed estreme” a soggetto erotico, fra cui una selezione del famoso Portfolio X.
I vari soggetti di Mapplethorpe, anche i più controversi come le immagini S&M del Portfolio X, sono protagonisti di una messa in scena che rivela continui e sofisticati richiami alla storia dell’arte, in cui evocano archetipi e soggetti universali. Le riprese fotografiche avvenivano, del resto, prevalentemente nell’intimità dello studio di Mapplethorpe, dove l’artista predisponeva accuratamente sfondi ed elementi scenografici, insieme a un rigoroso disegno luci, per astrarre in un “tempo senza tempo” il soggetto fotografato.
Capodanno a Napoli
Migliaia in strada per Capodanno a Napoli. Gremita piazza Plebiscito per il brindisi al 2019. Dopo la mezzanotte la folla si è gradualmente spostata sul lungomare per assistere ai fuochi d’artificio e ballare nelle discoteche all’aperto.
Mostra sul Futurismo al Maschio Angioino
Sessantaquattro capolavori del Futurismo, avanguardia artistica nata in Italia nella prima metà del Novecento, sono in mostra dal 19 ottobre al 17 febbraio presso la Cappella Palatina del Maschio Angioino a Napoli.
L’evento è l’occasione per amanti dell’arte e non di ammirare le straordinarie opere di Boccioni, Carrà, Balla, Severini e di tanti altri artisti appartenenti a questa corrente che, col loro genio, hanno dato vita alla prima e più importante avanguardia del continente europeo.
Tutte le opere ospitate all’interno dalla mostra dal titolo “Il Futurismo anni ’10 – anni ‘20” sono state portate nel Capoluogo Campano in via eccezionale dalle principali collettive italiane dedicate al movimento futurista: il visitatore potrà così ripercorrere i temi principali che hanno ispirato gli esponenti di questa innovativa avanguardia, come ad esempio lo sviluppo tecnologico.
L’esposizione è aperta dal lunedì al sabato dalle 10 alle 19 mentre la domenica e festivi dalle 10 alle 14.
Il costo del biglietto è di 10 € (8 € ridotto) dal lunedì al sabato, 8 € (6 € ridotto) la domenica, in quanto nei festivi non sarà possibile accedere al resto del complesso del Maschio Angioino.
Maggiori informazioni sono disponibili sul sito del Comune di Napoli a questo link.